di Sara Draghi
Gregorio Samsa, svegliatosi una mattina da sogni agitati, si trovò trasformato, nel suo letto, in un enorme insetto immondo. Riposava sulla schiena, dura come una corazza, e sollevando un poco il capo vedeva il suo ventre arcuato, bruno e diviso in tanti segmenti ricurvi, in cima a cui la coperta del letto, vicina a scivolar giù tutta, si manteneva a fatica. Le gambe, numerose e sottili da far pietà, rispetto alla sua corporatura normale, tremolavano senza tregua in un confuso luccichio dinanzi ai suoi occhi.
Franz Kafka
Nella soffitta di Marcello Carrà, accatastato a terra contro il muro, c’è un grande dipinto ad olio. Il quadro raffigura la storia una famiglia che riceve da un ignoto mittente un pacco regalo. Al suo interno è racchiuso un fatale e macabro contenuto: una moltitudine di piccoli insetti che, inaspettatamente, fuoriesce dalla scatola e assale i quattro protagonisti della composizione.
Dipinto nel 2008, quando l’artista realizzava grandi tele ad olio di ascendenza surrealista/metafisica, rappresenta la genesi del ciclo di disegni a penna Bic, dedicato al microcosmo degli Artropodi e alla sua straordinaria varietà di specie.
Disegnati utilizzando esclusivamente la penna a sfera nera su un supporto di carta giallina, falene, mosconi, formiche, cavallette, scarabei rinoceronte, anacridium, acari e curculionidi, vengono ingigantiti a dismisura, raggiungendo dimensioni monumentali, fino a 4 metri di lunghezza: visti da quaggiù questi fragili esseri ci rivelano la loro straordinaria complessità anatomica e cromatica, a cui l’artista regala rifiniture di pura invenzione morfologica. Le screziature delle corazze e le venature delle sottilissime ali sono rese con precisione miniaturistica da un tratto fine e leggero, che trasforma questi insetti in creature di una bellezza algida e perfetta.
L’artista impiega mesi a realizzare i suoi lavori: partendo da un immagine fotografica, ritagliata dalle pagine di una rivista o scaricata da internet, la divide in reticoli geometrici e riporta i perimetri dell’animale in scala ridimensionata sul grande supporto; la realizzazione prosegue a sezioni, con precisione scientifica, e il risultato finale si gusta solo al termine del lavoro quando il lungo rotolo viene steso nella sua interezza.
Ma la forza della serie Insetti è racchiusa nelle didascalie dei singoli lavori, sorte di iscrizioni funebri che riportano la data di nascita e di morte della bestiola e la causa del suo decesso. Enfatizzando l’individualità dell’animale, Marcello Carrà ne erge la lapide commemorativa, innescando un congegno concettuale senza il quale, queste gigantografie entomologiche, diventerebbero i semplici virtuosismi di un abilissimo disegnatore.
Attraverso un gigantesco ritratto da parete, l’insetto viene immortalato e mitizzato: come in una pietas, impregnata di ironia, la morte viene dissacrata, e la natura morta si trasforma in un monito sulla fragilità dell’esistenza, propria e altrui, e una esortazione al rispetto della nostra biodiversità.
"Pace al moscone, morto per sfinimento dietro ad una tenda, al curculionide schiacciato da un triciclo in corsa e al bruco lepre rimasto vittima di un incendio. Riposi la mosca arrostita da una lampada alogena e la formica bruciata nel barbecue. Gloria allo scarabeo rinoceronte caduto sotto colpi di scopa e all’acaro affogato in uno shampoo".
Le opere di Marcello Carrà ci introducono nella wunderkammer dei ricordi, durante i giorni afosi estivi della nostra infanzia, quando scoprivamo stupiti i meccanismi della vita e costruivamo teatrini e circhi in miniatura per popolarli di insetti e vermiciattoli.
Alla serie Insetti è seguita quella delle scrofe, realizzate su carta giallina con penna Bic nera e pastello a cera bianco. Utilizzato fin dall’antichità quale simbolo di maternità e fertilità, e associato alle caratteristiche negative di voracità, ingordigia e lussuria, il motivo iconografico della scrofa si è depositato nella tradizione figurativa occidentale, la quale lo ha filtrato e tradotto in termini utilitaristici e onnivori. Marcello Carrà rielabora questa antica iconografia, trasformandola nell’emblema della madre procreatrice, genitrice di esseri dal futuro prescritto, carne da macello che fumerà nei nostri piatti: un memento mori, un’ultima, sottile allusione alla condizione umana e alla comune fine a cui tutti siamo destinati.
Io ti ricordo, Narciso, avevi il colore | della sera, quando le campane | suonano a morto.
Pier Paolo Pasolini